Un' interessante riflessione del Cidi nazionale sulle tracce della prima prova scritta della maturità.
Maturità 2010, le prove di italiano
Preoccupazione e sconcerto
Alcune cose lasciano sconcertati in queste prove di maturità.
Anzitutto l’ormai definiva trasformazione di una prova nata dieci anni fa per innovare le pratiche di scrittura, irrevocabilmente ridotta a presuntuoso vaniloquio su tematiche complesse, talvolta
semplicemente inarrivabili, condotte a partire da documenti la cui scelta è governata da improbabili regole di par condicio temporale, di genere e ora anche politica. I testi proposti quest’anno per la stesura del saggio breve e dell’articolo di giornale trattano tematiche importanti e impegnative ma, ancora una volta, l’estrema eterogeneità delle fonti, la vastità e l’indeterminatezza delle collocazioni spazio-temporali e culturali ne impongono una trattazione superficiale, accostamenti impropri se non inopportuni. E’ un modo altamente diseducativo di suggerire una cultura da chiacchiera da bar o, se si preferisce, da talk show, dove ciascuno dice la sua possibilmente su argomenti importanti di cui non sa nulla. Che dire, infatti, del mettere insieme Dick, Kant e Hawking per parlare di alieni?
Anche questa è la pseudoscienza da bar, dove si discute di angeli e ufo dopo aver visto certe
trasmissioni televisive. Tipicamente “televisiva” è infatti anche la regola della par condicio che
governa da tempo la scelta degli ospiti. Il problema allora non è, come ad alcuni è parso, il tema
sulla foibe, che chiede di affrontare una pagina controversa della storia nazionale che da anni è al
centro di nuove attenzioni e di recenti normative. Se mai, in tal senso, è risibile il sospetto che a far da bilancino sia stato scelto Primo Levi per l’analisi del testo, per altro con un passo di difficile
collocazione tematica (Di che cosa parla quel testo? Qual è il suo fuoco tematico?) e vagamente
irritante in un paese dove il 43% dei giovani fra i 15 e i 29 anni (1,2 milioni) non ha letto nemmeno un libro nel corso del 2009. Ma la percentuale dei figli di laureati con libri in casa (come Levi) che hanno letto almeno un libro è di circa il 73%. Poi, a corredo, qualche domanda inevitabilmente banale non essendo un testo da “analizzare”.
Il problema vero è il discorso di Mussolini del 3 gennaio del 1925 usato come documento per
parlare del “ruolo dei giovani nella storia e nella politica” e non perché sia di Mussolini. Anche qui
in nome della par condicio sta con Togliatti, Moro e Giovanni Paolo II (“una sorta di teleologia dal
male al bene con Moro mediatore”!). Il problema è che quel discorso, una delle pagine più
agghiaccianti e tragiche della storia di questo paese, è quello con cui Mussolini assume la
responsabilità politica e morale dell’omicidio Matteotti, assolve il fascismo “passione superba della migliore gioventù italiana” e ufficialmente apre la fase di fascistizzazione dello Stato. Quel
documento implica due apologie di reato: di fascismo e di istigazione alla violenza. E’ in tale senso
e per quest’uso che è stato proposto? Allora non è proponibile perché se ne può solo parlar male,
non può essere come gli altri oggetto di trattazione dialettica. E se qualche allievo ne ha tessuto le
lodi? Se qualche allievo si è dichiarato favorevole? Quali perplessità apriranno la correzione e la
valutazione di quella prova, dichiaratamente politica. E, tra l’altro, è curioso che un Ministro che ha proibito ai docenti di parlare del governo in carica perché a scuola non si fa politica suggerisca ai giovani la trattazione di un tema così apertamente politico.
Infine un’ultima osservazione: si tratta di tracce “difficili” (soprattutto per gli studenti dei tecnici e professionali) se affrontate seriamente e contestualmente; banali se affrontate in modo superficiale: argomenti e documenti – se fossero presi sul serio- da tesi di laurea specialistica. Si tratta dell’ennesimo modo del ministro Gelmini di invitare a quella che per Lei è la serietà degli studi oppure di far capire che questa è la maturità dei licei, mentre per i tecnici e i professionali sarà il caso di pensare a qualcos’altro!?
Si tratta della definitiva conferma che ormai la scuola non è pensata a misura di allievi ma terreno per operazioni di battaglia politica e ideologica. Se n’era già avuto sentore, ma forse questa volta si è passato il segno. Infatti non sono tracce lineari e serene rivolte agli studenti, parlano alla scuola perché la politica – una certa politica di destra – intenda. Non hanno l’obiettivo di valutare la capacità espositiva, il senso critico, le conoscenze degli allievi in Italiano, hanno altri obiettivi.
Di natura simbolica: la sostanza è già in atto da tempo.
Roma, 23 giugno 2010
mercoledì 23 giugno 2010
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